Ieri sera, graditissimo ospite di Finestra Sull’Arena, l’ex capitano nerazzurro Robert Gucher ha anticipato i temi della sfida tra il Pisa e il Frosinone tra presente, passato e futuro.
Quando una squadra va in Serie A i protagonisti non sono soltanto coloro che hanno fatto parte della squadra attuale, ma anche chi ha contribuito, nel passato, alle vicende nerazzurro. Gucher ha fatto parte di questo percorso e merita di essere ricordato per i suoi grandi valori di uomo. E questo vale per te e per gli ex componenti della vecchia guardia, da Masucci a De Vitis e non solo. Grazie Robert di essere nostro ospite.
“Io penso che un complimento più bello di questo, sia per me ma pure nei confronti di Gaetano, De Vitis, non può esistere perché poi dopo, come ho sempre detto, in campo le opinioni su un giocatore possono essere mille, ma fuori dal campo oppure dalla persona che uno è, se rimane quel ricordo lì, se lasci quella cosa lì, vuol dire che hai lasciato un buon ricordo e fatto bene”.
Cosa pensi della squadra di quest’anno? Cosa ha fatto la differenza?
“Ricevo moltissimi messaggi ultimamente con la scritta proprio che tanti pensano a me anche in questo periodo, fa molto piacere. Poi è ovvio come seguo il Pordenone ultimamente, come seguo il Frosinone, come seguo il Frosinone Pisa dove sono stato per più anni, è normale che uno segue ma poi le amicizie rimangono e comunque le persone, ci sono ancora ragazzi dentro con cui ho condiviso dei momenti belli e brutti.
Cosa dire, si possono fare solo i complimenti. Sembra banale ma penso sia il mister: ha portato entusiasmo, positività dopo due anni un po’ così così. È stato convinto fin dal primo momento. Parlo da esterno ovviamente: ha saputo mettere i giocatori al posto loro, faccio l’esempio di Caracciolo, Tramoni, Moreo, Touré, Piccinini… capire quella cosa lì è una capacità che pochi hanno. Non a caso il mister ha la media punti più alta di tutta la Serie B. È uscita una statistica dove lui ha la media più alta in carriera. C’è un motivo se ha vinto ovunque. La sua mentalità e saper mettere gli uomini al posto giusto hanno fatto la differenza. E lui da anni aveva capito la piazza. Voleva venire qui e ci è riuscito”.

Robert, un ricordo su Trieste? Quel gol che chiuse una stagione…
“L’apoteosi di Trieste, il gol alla fine. Giornate che ti ricordi anche a 60 anni. Però c’è anche il percorso: la Serie B del Covid, le partite di luglio, dieci partite in quel febbraio. E poi Pisa-Monza e quella traversa di Puscas che ancora trema. Un po’ siamo rimasti tutti lì. E’ stato un lungo percorso”.
Secondo te un pezzo della promozione di quest’anno è anche vostro, tuo, di Gaetano Masucci, di Alessandro Masucci?
“Sì, secondo me sì. Caracciolo ci ha detto che Masucci è ancora un’aura nello spogliatoio. Se ne parla. Questo vuol dire qualcosa”.
Marin è forse l’unico rimasto di quella Trieste. Chiude un cerchio. Lui è il trait d’union tra quel Pisa e questo. Con lui e con gli altri vi siete sentiti anche quest’anno?
“Su qualche compleanno, qualche messaggio. Con De Vitis ci ho giocato contro. Gaetano lo affronto nei play-out. Con Antonio ci sentiamo. Gli ho mandato un cuoricino la settimana scorsa. Peppe Mastinu l’ho visto all’ultima. Torregrossa abita vicino. È normale.
A livello umano, in tutti gli anni — forse il primo un po’ meno — lo spogliatoio è sempre stato unito. La società ha scelto anche in base alla testa”.
Su Samuele Birindelli e Pietro Beruatto: due scelte diverse che li hanno portati a cambiare. Cosa ne pensi?
“Su Samuele: ha fatto tante partite, ma doveva crescere. Forse serviva andare via da casa. Poteva anche andare male, ma ha provato. Ha dimostrato di poterci giocare in Serie A. Su Pietro ho fatto fatica a capire. La Samp è una piazza importante, ma stava giocando. Forse anche lui oggi ci ripensa”.
Come fu il tuo addio al Pisa? E cosa ti ha portato al Pordenone e poi a Lucca?
“Quando il Pisa ha cambiato con me, D’Angelo, Birindelli, all’inizio ho fatto fatica. Mi hanno lasciato fuori dal ritiro all’improvviso. Ero rimasto fino a gennaio, fuori lista. Poi mio padre ha scoperto un tumore. Ho scelto Pordenone perché era la soluzione con meno chilometri. Per vederlo il weekend. Per farlo vedere a mia figlia. Tornando indietro rifarei tutto.
Non guardi più il calcio, ma la vita. Dopo nove mesi mio padre non c’era più. Senza squadra e senza padre. Cerchi solo serenità”.
A Lucca quest’anno la situazione è stata dura. Vuoi dire qualcosa?
“Da ottobre non ci pagano. Su dodici mensilità, otto non arrivate. Nonostante tutto ci siamo salvati con sei punti di penalizzazione. Siamo quasi riusciti ad approdare ai play-off. Ci siamo uniti da uomini veri e la città ci ha dato una grossa mano. Ci hanno pagato alcune trasferte, vuol dire che anche da fuori hanno apprezzato il nostro impegno. E questo succede solo se hai grandi uomini in squadra, in una situazione così. I giovani hanno dovuto lasciare casa. Questo succede ancora oggi e nessuno fa niente”.
Torniamo all’attualità: Pisa-Frosinone. Che significato ha per te questa partita?
“Tanta roba. Il Frosinone due mesi fa era in crisi, ma Angelozzi è stato calmo. È una società seria. Il Pisa si gioca tanto, ma non tutto perché ha anche altre chance. Il Frosinone non regalerà niente, questo è sicuro. Ma anche il Pisa farà la sua partita per cercare di arrivare alla vittoria”.

Una domanda un po’ strana. Oggi il calcio sembra quasi industriale. Ci sarà ancora spazio per le persone vere?
“Non hai tutti i torti. Oggi è tutto diverso. Il giovane se gli dici qualcosa ti risponde pure. È una questione generazionale. Una volta dovevi guadagnarti tutto. Oggi con quattro presenze hai un contratto importante. Per chi non ce la fa invece arriva ai 23 anni, 25 anni e poi è fuori da tutto. Hai perso cinque anni di vita. E fuori dal calcio hai perso anni, troverai difficoltà anche a trovare lavoro. E chi ti prende? Questo rovina anche fuori dal campo, fuori dal calcio. È un problema”.
Hai pensato al futuro? Vuoi restare nel calcio?
“Sì, ci penso. All’inizio dell’anno ero fuori, poi mi hanno rimesso dentro. Ho fatto tutte le partite. Mi hanno trovato un ruolo nuovo, anche difensore centrale. Mi ha allungato la carriera. Mi sono calmato, ho ritrovato entusiasmo. Se non capita qualcosa di giusto, posso anche fare altro. Ma il calcio mi ha dato tanto, vorrei ridare qualcosa. Magari lavorare con i giovani. Ma sono tanti pensieri”.
Un messaggio ai tifosi?
“Ai tifosi posso dire solo grazie. A Frosinone quando tornai con il Vicenza mi fecero una cosa incredibile. Quando sono andato via da Pisa non ho potuto salutare. Ma lo farò, prima o poi. È giusto. Sono stato più di cinque anni. Ci tengo. La società è seria. Ha fatto scelte importanti. Corrado è una persona per bene, Knaster ha fatto ottime scelte. I tifosi devono apprezzare questo. Perché nel calcio chi se ne va è il giocatore, ma chi resta è il tifoso. E il tifoso merita rispetto, non come in altre piazze. Il Pisa ha sempre avuto pazienza, anche nei momenti difficili. È una società che lascia lavorare. Se non raggiungi l’obiettivo, si cambia. Ma non è una società da critiche gratuite. Bisogna apprezzare chi non prende in giro la gente, chi ti fa lavorare nel modo giusto. In Serie B e C ci sono società che spariscono e lasciano tifosi con niente. A Pisa non è così. E questo vale tanto, non bisogna darlo per scontato”.
Intervista realizzata da Michele Bufalino, Simone Del Moro, Aurora Maltinti e Gabriele Bianchi