Dall’Arena Garibaldi ai campi del Brasile. Andrea Bagnoli, ex calciatore del Pisa e oggi procuratore sportivo, racconta la sua storia e l’affare che ha portato Mateus Lusuardi in nerazzurro. Un viaggio tra passato, presente e futuro, tra ricordi e visioni di Sudamerica. L’intervista integrale è sul mio canale youtube, di seguito anche la trascrizione.
Andrea, partiamo dal principio. Il Pisa fa parte della tua storia calcistica.
“Sì, sono cresciuto qui, alla Fontina. Ho fatto il settore giovanile nel Pisa di Anconetani. Mi ricordo che all’epoca si facevano i provini, ma a me Adolfo Anconetani disse che ero già dentro. Ho giocato con Claudio Leoni, che era più un padre che un allenatore per noi. Eravamo un bel gruppo: Brandani, il povero Silvio Gori, Lazzarini, Dianda… tanti sono arrivati vicini alla prima squadra. Poi ognuno ha fatto la sua carriera. Io ho girato, ho vestito maglie importanti come Spezia, Livorno, Pisa. E sono tornato nel 1997-98 con Roberto Clagluna. Era un grande pragmatico, un allenatore vecchia scuola, uno che sapeva tenere il gruppo”.
Poi la tua carriera ti ha portato altrove…
“Sì, a me portò in Sardegna, poi ho fatto la mia carriera. Ho viaggiato tanto, ho indossato anche maglie pesanti per le tifoserie, tipo Spezia, Pisa, Livorno. E poi sono ritornato a Pisa”.
Il rispetto per la maglia è una costante del tuo pensiero.
“Io credo che oggi il calciatore debba avere rispetto quando lavora per una maglia. Questo è il punto più importante del nostro lavoro. Poi può essere criticato perché ha giocato da una parte o dall’altra, ma il rispetto è tutto. In qualunque piazza io abbia giocato, anche a distanza di tanti anni, ho sempre un piacevole riscontro. Quando il calcio finisce, rimane l’uomo”.
Ricordi di Clagluna?
“Mi ricordo la prima volta che ci ho giocato contro, era un Taranto-Sambenedettese. Poi ci siamo ritrovati insieme a Pisa. Era un grande pragmatico, uno che sapeva tenere il gruppo, un allenatore di quelli di una volta. Aveva sempre vinto ovunque fosse stato. Ci avevo giocato tante volte contro, e poi riuscimmo a fare un matrimonio a Pisa quando ero in scadenza dal Pontedera”.
Parliamo dell’attualità: l’affare Lusuardi-Pisa. Che tipo di giocatore è?
“L’ho portato in Italia nel luglio 2023. Fu una scommessa del direttore Angelozzi, che fidandosi dei miei rapporti e di tutto, accettò. Io e mio figlio lo vedemmo in Brasile, nella scuderia di Eder, un mio ex giocatore arrivato fino alla Nazionale. Lo vedemmo due volte. Mi presentai a Frosinone, loro erano appena saliti in A e avevano un posto da extracomunitario. Dissi a Guido (Angelozzi): “Secondo me questo può avere una carriera importante, forse a livelli di Bastoni”. Me lo fece vedere allo scouting, dopo due giorni mi chiamarono: “Portamelo da comunitario e lo prendiamo”. Dopo 12 giorni di lavoro, tra ambasciate e comuni, riuscimmo a farlo comunitario. Il 29 luglio era a Frosinone, il 12 agosto firmava.”
Ha avuto subito continuità?
“Come tanti ragazzi, anche Eder ci mise tre anni a esplodere. Lusuardi ha avuto problemi fisici, ha una struttura sopra il metro e novanta. Ma ha potenzialità enormi”.
Come è nato l’affare col Pisa?
“Verso fine campionato mi chiamano dal Pisa: “Vorremmo fare due acquisti importanti dopo 34 anni di ritorno in Serie A: Vural e Lusuardi”. Ci siamo incontrati in due balletti. Il Pisa ha mostrato grande programmazione, in venti giorni hanno chiuso tutto, sia con noi che col Frosinone. Sono stati concreti, battendo anche altre squadre. Hanno preso ciò che volevano”.
Cifre?
“Si è parlato di circa mezzo milione, in realtà è qualcosa in più. Con Vural sono due giocatori in cui il Pisa crede tanto, con un contratto di quattro anni. Questo dimostra la volontà di costruire un percorso”.
Come vedi il lavoro del Pisa?
“Da occhio terzo, ogni anno hanno aggiunto qualcosa di importante. Allenatori e giocatori passano, ma resta la società. E oggi il Pisa è strutturato in maniera importante. Il primo anno sarà quello di assestamento, come successo a Monza e Como, ma ci sono le basi per restare in A”.
Perché hai scelto di fare il procuratore?
“Ho smesso presto e un po’ me ne pento. A 34 anni non avevo più stimoli. Mi sono chiesto: cosa provo a fare? L’allenatore no, devi sapere già cosa pensano 30 teste. Il direttore mi piaceva, ma dove? L’ispirazione mi venne leggendo i libri dei miei idoli: Zico, Maradona, Falcao. Dicevano di aver cominciato con una palla fatta di giornali. Un mio ex direttore aveva un figlio in Brasile. Gli dissi: “Voglio andare là”. La prima volta andai al Santos. Arrivai la sera, andai sul lungomare e vidi una marea di ragazzi giocare. Da lì ho iniziato a osservare, capire il Brasileirão, il campionato Statale. Il primo che portai in Italia fu Eder. Da lì è cominciato il mio mercato brasiliano”.
Come si convince un giocatore?
“Una volta era più semplice. Andavi con lo zaino vuoto e tornavi con cassette piene di video. Oggi ci sono le piattaforme come Wisecout. Prima era più bello: conoscevi i giocatori davvero, li vedevi vivere. Ho portato un direttore a vedere un ragazzo che faceva la doccia nel fiume. Questo è il calcio che conosco”.
Chi ti affianca oggi?
“Mio figlio. Parla quattro lingue e lavora anche come scout. Siamo riconosciuti per la serietà. Facciamo un lavoro che ci riconoscono tutte le società sudamericane”.
Che consigli daresti a chi vuole diventare procuratore?
“Servono spalle coperte. Prima spendi, poi guadagni. Il nostro è un mondo difficile, dove bisogna mettersi ogni giorno in gioco. Ma la soddisfazione più grande è portare un ragazzo sconosciuto a giocare in A. Il mito è lui, non io”.
Che Serie A sarà? E il Pisa come si inserisce?
“Il Pisa parte sapendo che sarà un campionato durissimo. Ma ha una struttura importante. Deve cavalcare l’entusiasmo. Serviranno anche giocatori di categoria, i cosiddetti “marpioni”: un attaccante da 10-12 gol, un centrocampista da 4-5, un difensore che segna 3 gol. Se l’asse centrale ti porta 20 gol, sei già sulla buona strada. E bisogna investire anche sui giovani, come vuole la missione del Pisa”.